16 maggio 2017

"Quattro tazze di tempesta" di Federica Brunini

Non so davvero da dove cominciare … vi starete chiedendo perché ma il motivo è semplice: il libro di cui vi parlo oggi non mi è piaciuto.
Uff! Non sopporto quando un romanzo su cui avevo puntato tanto mi delude, infatti avevo grandissime aspettative che sono colate a picco.
Quattro tazze di tempesta ha solo il titolo di azzeccato ma il resto lascia molto a desiderare.


Siamo in Francia, in un bellissimo paesino immerso nei campi di lavanda, un paesaggio magico che ospiterà per cinque giorni un gruppo di amiche quarantenni alla ricerca di sé stesse. 
Quattro donne che fin dai tempi del liceo sono legate da un’amicizia indissolubile che, come dicono loro, le tiene unite “nella bonaccia e nella tempesta”.
Viola è l’affittuaria del magnifico rustico nel quale tutte insieme passeranno i giorni che ruotano intorno alla data del suo compleanno, tutti gli anni è
un appuntamento fisso dove non si può mancare e tutti gli anni le quattro donne arrivano cariche di aspettative ed emozioni. Questa volte però sono giunte alla soglia dei quarant’anni e proprio in questa fase della loro vita tutti i nodi verranno al pettine trasformando la festa in una vera e propria tempesta.
Viola aggrappata al lutto per la perdita del marito, vive isolata nel suo rustico in mezzo al nulla, ha buttato ogni energia nella gestione di un delizioso negozio di tè ma non è felice, torturata dal dolore non riesce più a sorridere, a godersi i momenti di gioia, rifiuta ogni possibilità di ricostruirsi una vita con un altro uomo e si contorce nella sofferenza senza fare nulla per calmarla perché convinta di essere la causa della morte del compagno.
Mavi donna forte e organizzata, ha realizzato ogni progetto che si era posta: lavoro, famiglia e figli ma alla soglia dei quarant’anni si sente soffocare dalle responsabilità e si tormenta perché il rapporto con il marito non è più quello di un tempo. La noia sta prendendo il sopravvento e la mancanza di affetto la porta a ingurgitare cibo per riempire il vuoto che la divora.
Chantal bella e solare, non ha combinato nulla di quello che si era prefissata, insoddisfatta del lavoro e della vita sentimentale non sa più che pesci pigliare.
Finché nella sua vita non appare Marcello, aitante trentenne che la seduce e conquista ma Chanti non si sente all’altezza, si critica e si mortifica continuamente impedendosi di vivere questa storia con serenità.
E infine c’è Alberta, donna dura e secca, realizzata professionalmente e convinta di non avere bisogno del prossimo quando in realtà ha un cuore desideroso di amore.
Queste quattro donne vivranno per cinque giorni a La Calmette e in questi cinque giorni sconfiggeranno i loro demoni e affronteranno le loro vite.


Purtroppo il romanzo non mi ha entusiasmato, l’ho trovato banale e triste.
Banale perché ogni cosa che accade nel libro è scontata e le strade intraprese dalle protagoniste sono così ovvie che speri di leggere qualcosa di completamente diverso.
Triste perché ormai il panorama italiano è pieno di libri con trentenni e quarantenni frustrati, irrisolti, non realizzati e nella peggiore delle ipotesi brancolanti in un esistenza che li fa soffrire ma dalla quale non fanno nulla per uscire.
Si lagnano, si piangono addosso, si criticano e si distruggono psicologicamente ma non prendono in mano la situazione, stanno lì in attesa che qualcuno guardi giù e risolva i loro drammi e le loro paranoie.
Per carità ci sta il periodo di crisi, il momento in cui ci si ferma e si tirano le somme sulla propria esistenza ma non capisco questo continuo lamentarsi e boicottarsi e le protagoniste di questo libro sono le peggiori nemiche di loro stesse, prive di amor proprio e cariche di segreti e rancori.
Il finale è un lieto fine scontato e dolce amaro, lascia in sospeso molte cose e non approfondisce nel modo adeguato il futuro che le quattro donne hanno deciso di intraprendere.
L’autrice ci dice qualcosa ma tutto è in divenire e purtroppo non amo questo tipo di fine, mi piacciono i libri che si concludono con chiarimenti e limpidezza, dove la traccia è ben chiara e il lettore trova conforto e solidità nelle vicende lette.
Altra pecca è il continuo parlare di tè senza mai approfondire l’argomento, tante ricette buttate lì ma al solo scopo di riempimento. Alla fine troviamo un breve ricettario che solletica la curiosità del lettore ma nulla più.
In conclusione avrete capito che questo libro non mi è piaciuto e la scrittura schietta e leggera ha salvato molto poco l’insieme dell’opera.

Valutazione


AUTRICE: Federica Brunini è scrittrice, giornalista, fotografa e instancabile viaggiatrice. Dopo la laurea in Lettere moderne e Teoria e storia della pedagogia teatrale in Italia, si è diplomata alla Civica scuola d’arte drammatica Paolo Grassi di Milano e ha collaborato con vari registi, tra cui Silvio Soldini e Giuseppe Bertolucci. Ha scritto per “Il Corriere della Sera”, “Glamour”, “L’Espresso”, “People”, “Vanity Fair”, “Grazia” e molte testate internazionali. Tra le sue pubblicazioni, Il manuale della viaggiatrice (Morellini, 2008), Travel Therapy: il viaggio giusto al momento giusto (Morellini, 2011), Sarò regina. La vita di Kate Middleton come me l’ha raccontata lei (Sonzogno, 2011), diventato in pochi giorni il libro più letto in Italia sul matrimonio dell’anno con William d’Inghilterra, e il romanzo La matematica delle bionde (Giunti, 2013).Vive sull’isola di Gozo, a Malta, dove organizza vacanze e yoga retreat con il progetto www.goingozo.com. Per Feltrinelli ha pubblicato Quattro tazze di tempesta (2016).

2 commenti:

  1. A me era piaciuto ma era anche un momento in cui cercavo una lettura leggera e poco impegnativa, però ammetto che l'avevo comprato solo perché era in offerta lampo Kindle, intuendo sarebbe stato un libro di mero intrattenimento...e in effetti pensandoci adesso, a un anno circa dalla lettura, non ricordo granché della trama o del finale, questo già dice molte cose...

    :-)

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    1. Ciao Silvia, eccomi qui! Scusa il ritardo ma ero impegnata a prendere il sole al mare ;D!
      Purtroppo a me non è piaciuto e il motivo è un po' quello che hai sottolineato tu: lascia veramente poco.

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