Buona Domenica! Anche di festa la mia mente
non sta mai ferma e quindi sono qui per proporvi un articoletto davvero
interessante.
Oggi vi voglio parlare di un libro
particolare: un fantasy storico che ci
catapulterà nell’Antica Roma e ci farà incontrare personaggi storici di
grandissimo spessore.
L’autore italiano ha già pubblicato un
romanzo sempre di questo genere, direi molto particolare visto che i fantasy
storici sono abbastanza rari.
Ringrazio Davide per avermi donato una
copia del libro che cercherò di recensire nel minor tempo possibile.
L’anatema
dei sette peccati
Autore: Davide Fresi
Genere: Fantasy Storico
Numero di pagine: 228
Data di uscita: 3 aprile 2017
Prezzi: ebook 1,99 euro, cartaceo 13,90
Link per
l’acquisto: L'anatema dei sette peccati-Amazon
TRAMA: La narrazione è
ambientata nell’antica Roma e vede protagonisti due mercanti, Fedro e Polibio.
In virtù dei carismi profetici che mostrano di possedere, essi vengono introdotti
da Tiberio Cesare nel fasto della corte romana. Tuttavia, l’avidità di Fedro
minaccia l’incolumità di entrambi. Il prefetto del pretorio Marcello tende un
tranello che compromette la loro posizione. In carcere essi conoscono un uomo
che con i suoi lumi porta Fedro a cambiar vita. Presto irrompono nella vita dei
protagonisti Gesù di Nazareth e altri personaggi storici dal grande carisma. Le
disavventure si susseguono una dopo l’altra. Aleggia sullo sfondo degli eventi
la ferocia dei governanti romani che non esitano a spargere il sangue di
innocenti. Ogni volta che le aspettative paiono compromesse, la Provvidenza
mostra il suo volto benevolo, dissolvendo la nebbia che rende incerto il
cammino dei due mercanti. Finché non avviene l’irreparabile… Troverà
realizzazione l’anatema che il Nazareno rivolge agli oppressori del popolo?
Riuscirà il perfido Marcello a soddisfare la sua morbosa ambizione? Questi sono
alcuni temi di una narrazione che appassiona sin dalle primissime pagine.
AUTORE: Davide Fresi, nato a Sassari nel 1977. Nel 1996 ha conseguito il diploma presso il Liceo Classico Domenico Alberto Azuni di Sassari. Nel 2004 ha conseguito la laurea in Lettere Classiche indirizzo archeologico presso la facoltà di Lettere e Filosofia di Sassari. Nel 2014 ha pubblicato con l’editore Youcanprint il romanzo Alessandro Magno e i prescelti venuti dal futuro. Da poco è in vendita il suo nuovo romanzo L’anatema dei sette peccati.
INCIPIT
Capitolo I
Tutto ebbe inizio una mattina dell’anno 335
a.C., sotto il cielo terso dell’Attica, ad appena qualche chilometro dalla
celebrata città di Atene.
Polibio e il suo socio in affari Fedro
erano in viaggio con il loro seguito di carri, colmi di merce pregiata, e di
schiavi. Stavano per concludere delle importanti vendite. Essi, dopo aver
affrontato una lunga traversata, poche ore prima erano finalmente sbarcati nel
porto del Pireo. Ormai li circondava una fitta vegetazione.
Durante un momento di tregua dalla sollecita
marcia, i due mercanti si isolarono dalla comitiva discutendo animatamente di
una gravosa questione. Per preservare il riserbo delle confidenze, si
scostarono dal gruppo dei fidati schiavi quel tanto sufficiente a sottrarsi
dalla loro attenzione.
Il fermento era dovuto
al presunto furto di un monile di cui alcuni servitori accusavano Maysun, un
loro giovane compagno. Da tempo erano sorti dei dissapori perché questi aveva
coraggiosamente denunciato le abituali prepotenze esercitate dagli schiavi più
anziani.
La sensibilità che caratterizzava Polibio
gli imponeva di acclarare per bene i fatti. Egli sapeva perfettamente fino a
quali estremi potesse giungere l’acredine dei prepotenti. Aveva constatato come
simili individui fossero soliti attribuirsi dei diritti usurpati senza alcun
ritegno. Ingiustizie di tal fatta erano inconciliabili con i princìpi che
animavano la sua coscienza.
- Ti ripeto che non intendo negare a Maysun
il diritto di difendersi dall’accusa che gli è stata rivolta. Potrebbe
trattarsi di una calunnia, - sostenne Polibio, scontrandosi con la rozza
superficialità del partner. La stessa con cui spesso aveva dovuto fare i conti.
- Già. Ma non è la prima volta che lo
sorprendiamo a rubare. Dobbiamo punirlo come merita. Gli farò infliggere trenta
frustate. Penso che possano bastare. Vedrai che in futuro si asterrà dal
compiere simili misfatti, - ribatté Fedro, soffocando il buon senso che gli
gridava dentro.
- In realtà ho l’impressione che il
presunto furto sia una messinscena. Sospetto che i suoi accusatori vogliano
vendicare dei torti subiti. È necessario sentire le parti in causa per chiarire
i fatti. Mi rifiuto di mortificare un uomo senza prima dare luogo a un giusto
processo, - insistette Polibio con una fermezza che si conciliava con il suo
abituale modo di agire.
- Come sempre vuoi negare l’evidenza. È
chiaro che è colpevole, - non si piegò Fedro.
- Alla luce di quali elementi puoi
affermare ciò? Tu al suo posto, prima di ricevere delle vergate sulla schiena,
vorresti essere ascoltato, - lo incalzò Polibio, attingendo a tutta la sua
saggezza.
D’un tratto un famelico gatto, insidiando
un topo, si lanciò dalla cima di un albero verso un cespuglio.
Il tonfo che ne seguì interruppe per sempre
il discorso intrapreso.
Esso rimase sospeso nel vuoto di quella
giornata che era destinata a ridisegnare la loro esistenza. Di ciò essi ne
furono consapevoli non appena si voltarono.
La loro attenzione fu catturata da una
massiccia struttura in metallo che si poteva scorgere tra una massa di fogliame
secco e legno rattrappito.
Di fronte a questa scoperta rimasero di
stucco.
Essa esulava da tutto ciò che aveva sempre
fatto parte del loro mondo. Dall’interno del misterioso congegno filtrava,
attraverso una sorta di stretto sportello semiaperto, un fascio di luce
sconosciuto. I due mercanti non ne avevano mai visto uno simile in tutta la
loro esistenza, neanche nei più reconditi sogni. All’istante dimenticarono
persino dove si trovassero. E con le mani che tremavano per l’emozione,
s’impegnarono a liberare l’ingresso dal fogliame e dai rami. Esplose dentro di
loro il violento impulso di scoprire in cosa si fossero imbattuti.
Quindi con ogni precauzione spalancarono lo
sportello.
Entrati intrepidamente dentro l’oscuro
dispositivo, ebbero la sensazione che in quell’angolo di terra il tempo si
fosse come fermato. Non riuscivano a venir fuori dallo stupore che li
annebbiava. Che quanto avevano ritrovato abbandonato nel mezzo della campagna
fosse una diavoleria prodotta dagli spiriti del male? Si diceva che, quando
dominavano le tenebre, simili entità fossero solite flagellare quelle
sciagurate terre. E cosa significavano poi quei numeri che essi leggevano sopra
un pannello animato da una arcana luce? Che sancissero la fine della loro
esistenza?
Fedro, come suo solito, non rimase a lungo
inerte. E cominciò ad azionare senza criterio le strane manovelle che
campeggiavano su una parete. Così egli cercava di attenuare l’inquietudine che
scaturiva dall’assoluta incapacità di trovare una risposta a innumerevoli domande.
Polibio da parte sua percepì il pericolo che una simile iniziativa
rappresentava. E senza giri di parole lo redarguì:
- Fermati! Vuoi forse attirare il castigo
degli dèi con la tua noncuranza?
- Voglio solo capire cosa la sorte ci ha
fatto trovare in questo sentiero sperduto…
Polibio sapeva che quello era
l’irresistibile desiderio di entrambi. Ma occorreva essere prudenti. Mentre
Fedro persisteva ostinatamente a sfidare la sorte, insinuando le mani laddove
non avrebbe dovuto, il compagno fu folgorato da quanto rinvenne alle sue
spalle.
Si trovò davanti centinaia di indefinibili
oggetti che non aveva mai visto prima, neanche nelle più fantasiose
immaginazioni. Si trattava di una serie di ordinate pile di arnesi che a uno
sguardo attento, per via delle scritte che recavano impresse, potevano essere
identificati come dei manoscritti. Per un momento egli vacillò davanti a quella
sequenza infinita di scritte in latino che peraltro riusciva a decifrare,
essendo originario di Roma; aveva ancora nitidi i ricordi della sua giovinezza
trascorsa proprio fra i sette colli della città eterna, prima di dedicarsi al
commercio in giro per il mondo.
Per lunghi secondi ignorò perfino chi egli
fosse.
Non riusciva a leggere nella realtà che gli
era franata addosso. Poco dopo invitò il socio a voltarsi per renderlo
partecipe della straordinaria scoperta, avvenuta all’interno di qualcosa che
era, se possibile, ancor più misterioso.
- Cosa… - le parole si spezzarono sulle
labbra di Fedro. I suoi occhi rimasero spalancati. E il respiro gli divenne
incerto.
Avvinti dalla superstizione che li animava,
cominciarono a pensare di essere vittime di un diabolico sortilegio. Proprio
quando si apprestavano a fuggire da ciò che essi per istinto riconobbero essere
la porta d’accesso all’Ade, l’ingresso della macchina infernale si chiuse
automaticamente. Quindi qualcosa si azionò facendo sperimentare ai due uomini
il peggiore dei loro incubi.
Si produssero oscillamenti e potenti
vibrazioni. Risuonarono sordi boati e vibranti echi. Si alternarono rapidamente
un calore intenso e un freddo pungente. Finché infine tutto cessò, lasciando
nondimeno senza fiato gli sventurati.
Essi si guardarono in faccia convinti che
il congegno li avesse proiettati nell’oscurità infernale, alle cui porte
avrebbero incontrato il mostruoso cane Cerbero e Minosse, Eaco e Radamanto
avrebbero giudicato la loro condotta terrena.
Dunque, nello spazio di una manciata di
secondi ogni cosa si era quietata fra quelle metalliche pareti che essi, solo
un attimo prima, pensarono fossero prossime a comprimerli in una funerea morsa.
Con un pur labile senso di sollievo ricominciarono a percepire il proprio
ansimante respiro. Il loro cuore batteva più che mai vorticoso nel petto,
parendo sul punto di esplodere e schizzare ovunque tutto il purpureo sangue che
fra le sue pieghe scorreva. A quel punto entrambi chiusero gli occhi come se,
così facendo, potessero fermare il corso dell’indefinibile giornata che stavano
vivendo. Ancora quell’esperienza inquietante non aveva espresso la sua
sentenza.
Polibio richiamò l’attenzione del compagno
sulla luminosa scritta che risaltava poco al di sopra delle manovelle. Essa di
colpo si era come aggiornata:
- 335 avanti Cristo, - lesse con un filo di
voce, guardando alla sua sinistra, e poi continuò seguendo con gli occhi l’enigmatica
didascalia: - 27 Anno Domini… Cosa mai può significare tutto ciò?
- A mio avviso sto per sperimentare la
collera degli dèi per tutte le frodi che ho praticato a scapito di miserabili
che meritavano tutt’altro, - azzardò Fedro, assaporando già il gusto amaro che
accompagna il castigo delle proprie colpe.
- C’è solo un modo per scoprirlo. Si tratta
di andare incontro al nostro destino uscendo fuori da questo congegno
infernale… - e, mentre diceva ciò, Polibio, esitando, allungò la sua incerta
mano verso la manopola dello sportello. O essa avrebbe restituito loro la
libertà o, con un riverbero orribile, li avrebbe consegnati a eterni supplizi.
Gli sventurati si chiedevano quale
spettacolo terrificante li avrebbe travolti oltrepassando quella labile soglia
che ancora li proteggeva dal repentino materializzarsi dei loro più inquietanti
incubi. Forse che li attendeva ansioso di punirli Plutone, il temuto dio dei
Mondi sotterranei, il quale ne avrebbe sancito la condanna a mille anni di
atroci sofferenze fra fiamme ustionanti, lacerazioni fisiche, visioni orribili,
miasmi soffocanti e una disperazione senza tregua? Certamente questa era la
credenza divulgata dall’insigne Platone in relazione ai più indegni fra gli
uomini, prima che ne avvenisse la reincarnazione in un nuovo involucro
corporale e traesse così origine un altro ciclo vitale. Quale maledizione era
dunque piombata su di loro proprio quel giorno, che prima dell’ora fatidica,
pareva scivolare quieto e docile come tanti altri?
L’indugio non poteva protrarsi oltre.
Polibio afferrò la strana manopola e in
qualche modo riuscì a produrre uno scatto. A seguito di ciò lo sportello
lievemente si aprì. Un timido bagliore di sole si fece spazio fra quelle
anguste pareti. Eppure, in effetti, non pareva che delle creature orribili li
stessero realmente aspettando all’esterno, assetate di sangue e pronte a fare
scempio di loro. Che quel raggio di luce piuttosto fosse un assaggio della pace
che accarezza senza fine le anime dei giusti negli sconfinati Campi Elisi?
Davvero non sapevano più cosa pensare.
- Pare che il sole splenda più che mai… -
disse Fedro appena uscì all’esterno insieme al compagno. Quelle prime
sensazioni quietarono un poco la loro dirompente angoscia.
In apparenza il paesaggio naturale non era cambiato
da come lo avevano lasciato poc’anzi. Ovunque svettavano imponenti querce,
cipressi e pini carichi di frutto. I ginepri continuavano a spandere intorno a
sé un intenso profumo. Più in basso, fra i folti cespugli, il movimento
prodotto da piccoli animali alla frenetica ricerca di cibo testimoniava il
persistere delle dinamiche della vita. Nel cielo i volatili tracciavano senza
sosta le loro parabole, alla ricerca di insetti con cui poter nutrire i propri
piccoli che, affamati, pazientavano tutto il tempo nei nidi. La natura dominava
incontrastata. Fra quei rigogliosi alberi la realtà umana, con tutte le sue
contraddizioni, non faceva sentire il suo fiato.
- Non riesco a capire… - sentenziò Polibio.
- Quale diabolico scherzo ci ha riservato il destino?
- Non ci resta altro da fare che ritornare
senza indugio presso la carovana e provare a dimenticare questa singolare
esperienza. Qualsiasi significato essa racchiuda. La seppelliremo nei nostri
ricordi, - ragionò Fedro.
Eppure, raggiunto il
sentiero a pochi metri di distanza, essi non ritrovarono alcuna traccia del
nutrito convoglio, composto da decine di carri carichi di ogni genere di
mercanzia, che con la sua imponente mole era diretto verso Atene. Per lunghi
minuti, dimenandosi, perlustrarono la strada sterrata oltre ogni svincolo e
ogni barriera visiva costituita da grossi alberi o dalla fitta vegetazione.
Tuttavia, niente.
A quel punto si guardarono in faccia a
bocca aperta, chiedendosi come potesse d’un tratto essersi volatilizzato ciò
che, secondo ragionevolezza, avrebbe dovuto occupare ampiamente quel remoto
sentiero.
Dunque, era veramente successo qualcosa
d’imponderabile.
In quegli istanti davanti a loro una
leggera brezza increspò i rami frondosi di alti sicomori. Essi parvero assumere
le sembianze di inquietanti creature intente impietosamente a sorridere della
devastante paura che li pervadeva. Ogni cosa pareva prendersi gioco di loro.
- Vedo in tutto ciò la potente mano di
Giove, governatore del cielo e della terra, - osservò, senza riuscire a
fermarsi un attimo, Polibio.
- Ma che senso può avere quanto stiamo
vivendo? - Non si dava pace Fedro.
- Io penso che la risposta alla tua domanda
la possiamo trovare solo tornando laddove quest’oggi ha avuto origine ogni
nostra sventura.
- Non so se sia una buona idea.
- Qualora pure ci attenda un amaro destino,
preferisco affrontarlo da uomo come avrebbero fatto i nostri nobili antenati,
piuttosto che nascondermi in un cantuccio o scappare vilmente al pari di un
ignobile coniglio, - affermò con uno scatto d’orgoglio Polibio.
- Non posso certo essere da meno…
Non impiegarono molto a individuare
nuovamente fra la vegetazione l’imponente congegno. Si ergeva ancora minaccioso
e inquietante. Quando ormai erano sul punto d’introdursi al suo interno, dalle
nubi appena addensatesi nel cielo saettò un potente fulmine che andò a
infrangersi, squarciandolo, su di un alto olmo proprio a due passi da loro. La
mente intrisa di superstizione degli sventurati giudicò questo come un
ulteriore presagio infausto circa la bontà dell’iniziativa che avevano assunto.
Ma ormai non potevano sottrarsi a qualcosa che stimavano ineludibile.
Una volta dentro, Polibio localizzò
immediatamente su una sporgenza metallica alla sua destra dei rotoli di papiro.
Stranamente né lui né il suo compagno durante la prima visita li avevano
notati. Pareva senz’altro che qualcuno li avesse lasciati in bella vista
deliberatamente. Preso fra le mani il più vicino fra quelli lì deposti, il
mercante romano lo srotolò con cura. Quindi, reprimendo a stento l’ansia, si
approssimò all’intensa luce che filtrava attraverso lo sportello da cui erano
entrati.
- È vergato in latino, - riferì subito
all’amico.
- Coraggio, leggi quanto vi è riportato.
-
“Sicuramente, chiunque voi siate, vi starete domandando con un incontenibile
timore che cosa un arcano destino vi ha fatto rinvenire in questo sperduto
bosco dell’Attica. Ebbene, ora io risponderò a tutte le prepotenti e legittime
domande che inevitabilmente germogliano nei vostri cuori ogni istante che
passa. Dovete sapere che il dispositivo che avete trovato è il prodotto di
ferventi studi e ricerche le quali, attraverso vie ai più imperscrutabili,
hanno infine portato l’uomo a decodificare ogni singolo aspetto del mondo
naturale e delle sottili leggi che lo regolano. L’intelletto umano, come un
fiume in piena, si è spinto talmente avanti nel suo desiderio di onnipotenza da
voler esercitare il proprio dominio anche su ciò che da sempre è sfuggito al
suo controllo, ovverosia il tempo.
Non
avete capito male. Vi trovate effettivamente in una sorta di cavallo di Troia
che rende possibile il viaggio temporale. Conoscendo la rozza cultura propria
della vostra civiltà, temo a questo punto che il turbinare degli eventi vi
porti a sentirvi vittima dello spietato tiro di una qualche divinità. Senza
indugio vi invito a respingere ogni fluttuante pensiero di tale natura.
L’evidenza di quanto avete davanti agli occhi vi deve convincere
dell’inattaccabile ragionevolezza della lettura degli avvenimenti che, per puro
e disinteressato compatimento della vostra sorte, desidero fornirvi. L’umanità
che mi è propria mi sprona a mettervi in guardia dai pericoli contro cui
potreste miseramente infrangervi, essendo voi alla mercé di un amaro destino
che vi ha condotto laddove ogni speranza umana è facile a svanire nel nulla.
Vi
esorto a vigilare affinché ciò in cui vi siete imbattuti non vi si rivolti
contro e finisca con l’annientarvi. Io stesso e il mio compagno, al principio
della nostra avventura, ci troviamo in una situazione analoga per incertezza a
quella in cui voi vi dibattete. Non voglio approfondire ora simili discorsi, né
rivelare per quali vie abbiamo intenzione di dirigere i nostri passi su queste
terre. Sarebbe qualcosa d’inappropriato alla circostanza… Mi auguro che la
sorte mostri il suo volto più benevolo a tutti noi.
Per
comprovare l’affidabilità della presente testimonianza, vi invito a consultare
i manoscritti che immagino abbiano già catturato la vostra sconcertata
attenzione. Essi riassumono e analizzano a fondo la storia delle più
straordinarie civiltà che si sono sviluppate o si svilupperanno a partire dalla
vostra epoca fino al XXI secolo. Proprio così. Fra quelle pagine è accessibile
a voi il discernimento degli effettivi impulsi che ispireranno le gesta di
illustri re e imperatori. Ora che siete sul punto di divenire partecipi di un
simile tripudio di conoscenza, sforzatevi di farne un buon uso. I manoscritti
in questione rappresentano una preziosa chiave capace di dischiudere il più
inestimabile dei tesori, cioè il cuore dell’uomo.
Prima
di lasciarvi al vostro destino, vi esorto a non dimenticare queste mie ultime
parole: ciascun uomo è più forte dell’universale fatalità.”
Conclusa la lettura, il silenzio più
assoluto fagocitò ogni cosa. I due si guardarono per interminabili secondi
negli occhi senza riuscire a proferire alcuna parola. Mai avrebbero pensato di
vivere un’esperienza come quella. Essa non avrebbe trovato spazio neanche fra i
peggiori auguri da rivolgere ai loro nemici, per quanto a Fedro non mancassero di
certo.
Dopo un poco si dissipò l’intensa nebbia
che quel susseguirsi d’inconcepibili avvenimenti aveva generato. La realtà
cominciò a divenire più nitida nei suoi contorni. Polibio allora, osservando la
luminosa scritta che continuava a risaltare davanti a loro carica di mistero,
azzardò con un sottile intuito:
- Sono convinto che questa didascalia
rappresenti la soluzione di ogni enigma. Cosa può significare?
- 335 avanti Cristo e 27 Anno Domini. Mah…
chi potrebbe essere il Dominus a cui si allude? - s’interrogò Fedro inarcando
le sopracciglia.
- Forse qualche esimio sovrano o un grande
benefattore. E quei numeri potrebbero indicare un periodo di tempo precedente e
successivo a qualche avvenimento che a lui si riferisce, - ragionò Polibio.
- Già, ma quale?
- Magari la sua morte o la sua nascita…
- Costui dovrebbe essere un personaggio
veramente eccelso se, per qualcosa che a lui attiene, è stato assunto come
punto di riferimento addirittura per un arco di tempo di alcuni secoli.
- Ma proviamo un attimo a ragionare… Se
quel rotolo di papiro è attendibile, e ciò lo scopriremo presto, significa che
ci troviamo all’interno di un fantastico dispositivo che in qualche maniera
consente il viaggio temporale, - cominciò a riflettere Polibio. - Pertanto,
deduco che quei numeri indichino semplicemente due differenti periodi storici,
qualunque essi siano. Il primo, 335 avanti Cristo, dovrebbe essere l’anno in
cui vivevamo prima che ci travolgesse un incubo ogni istante più sconvolgente.
Mentre 27 Anno Domini suppongo sia l’anno in cui ci ha disgraziatamente
catapultato questa lugubre macchina.
- Brillante ricostruzione. Ma è solo una
possibilità, per quanto verosimile, - smorzò l’entusiasmo Fedro.
- Ritornando al contenuto del papiro,
ritengo ora necessario studiare a fondo i singolari manoscritti che colmano
questa parete. Un lungo lavoro ci attende… - sostenne Polibio volgendosi verso
la catasta di libri alle sue spalle.
- Bene, vediamo un po’… Historiae Romanae di Caio Velleio
Patercolo, Annales di Cornelio
Tacito, Historiae Romanae di Cassio
Dione, Historiae Romanae di Tito
Livio, Vitae Caesarum di Gaio
Svetonio Tranquillo. Beh, non conosco assolutamente questi autori e le loro
opere. Forse a te risultano familiari? - chiese Fedro.
- Mai sentiti nominare. Comunque i testi
che hai nominato paiono attenere tutti alla storia della mia patria. A questo
punto è probabile che fra quelle pagine sia proprio riassunta la storia di essa
nei secoli a venire.
Appena Polibio finì di pronunciare queste
parole, all’esterno un soffio di vento impetuoso smosse con forza le cime degli
alberi richiamando l’attenzione degli sventurati verso la boscaglia. Le tenebre
stavano cominciando ad abbracciare ogni cosa. Le indagini dovevano essere
rimandate al giorno dopo.
Dopo aver rapidamente nascosto il congegno
per mezzo del fogliame disponibile, andarono in cerca di un rifugio per la
notte. Seguirono un sentiero finché non individuarono un capanno abbandonato.
Entrati al suo interno, essendo soddisfatti della sistemazione, si disposero a
trascorrere lì la nottata. Essa non sarebbe stata certo beata, ma lunga e
insonne. Il peso che i due portavano dentro era arduo da sostenere.
- Continuo a pensare che tutto per noi
sarebbe più chiaro, qualora riuscissimo a capire a chi si riferisce il termine
Dominus, - sostenne Polibio.
- Giusto. Come sempre ti riveli il più
sagace fra noi. Forse così sapremmo anche in quale epoca storica ci troviamo…
- Per apprendere ciò sarà sufficiente,
penso, raggiungere Atene e fare un’indagine.
Quella notte i due uomini d’affari si
chiesero da quale scherzo del destino fossero stati raggiunti. Quale sviluppo
avrebbe assunto la loro esistenza alla luce degli ultimi avvenimenti? Era reale
quanto essi avevano appena vissuto o forse si trattava di un incubo pregno di
parvenze di verità, dal quale faticavano a risvegliarsi? In particolare Fedro
si domandava se tutto ciò non fosse una sinistra macchinazione degli dèi per
punire l’arroganza con cui egli abitualmente si atteggiava. E se il viaggio
temporale fosse davvero avvenuto, quale sarebbe stata la loro nuova ragione di
vita da perseguire con tutte le forze e su cui modellare ogni pianificazione?
Tutte queste erano le mute domande che essi si ponevano nel silenzio del
capanno, mentre attendevano che il nuovo giorno dissipasse almeno in parte la
gravosa incertezza che li tormentava. Volgendo d’impeto lo sguardo verso
l’orizzonte, ancora non riuscivano a leggere fra le sue righe. Ma sapevano che
presto i contorni malfermi della realtà si sarebbero definiti davanti a loro. E
questo era forse ciò che più li teneva in ansia.
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